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03/07/2023

Come sarebbe andata se

Arturo - nome di fantasia – lavora da anni in un’azienda di import export, nota a livello nazionale e internazionale nel proprio specifico settore. La factory aziendale, di fatto, è un magazzino organizzato in cui sfrecciano muletti e transpallet: il consumo energetico non è elevato, ma la disponibilità di coperture libere e ben esposte al sole è molta e, di certo, ricoprire il tetto di pannelli non sarà né motivo di scandalo né deturpazione del paesaggio quasi di periferia. L’azienda ci pensa e incarica Arturo di sondare il mercato nascente del fotovoltaico, di studiare il vantaggio dell’opportunità e relazionare la dirigenza.

Siamo nel giugno del 2009, è da poco entrata in vigore la Direttiva CE 2009/29, che prevede l'attuazione del Pacchetto clima-energia 20-20-20. Lo scenario italiano, poco caldo sul tema, vede il Governo impegnato a patrocinare le prime realizzazioni di impianti alimentati da energie rinnovabili. Nascono i cosiddetti Conti Energia, ovvero i Decreti Ministeriali che, da lì agli anni successivi, hanno spinto alla realizzazione di impianti fotovoltaici di medie dimensioni, installati sulle coperture di fabbriche e aziende a servizio delle stesse grazie al meccanismo dello Scambio sul Posto (SSP) prima e della tariffa premio per l’autoconsumo poi.

Affascinato dalle prospettive di un mercato nuovo e in accelerazione, l’amministratore delegato dell’azienda, così come tanti imprenditori italiani, ha quindi ceduto alla tentazione e ha deciso di installare un impianto fotovoltaico sul tetto della propria azienda, che fosse a servizio dell’attività produttiva e portasse reddito. Le fasi iniziali, successive alla costruzione dell’impianto, sembravano avvalorare la bontà dell’investimento, tutto filava nel verso giusto: l’impianto produceva bene, la resa era evidente, la gestione appariva semplice e tutto fluiva facilmente, grazie anche al supporto e alle cure della ditta che aveva costruito l’impianto e che, adesso, ne gestiva la manutenzione. Tutto ciò si traduceva in rendita, attraverso gli incentivi che il GSE pagava regolarmente a cui si aggiungevano i vantaggi derivanti dal risparmio in bolletta.

La grande spinta al settore delle energie rinnovabili e della green economy, tuttavia, ha iniziato a scricchiolare pochi anni dopo e la decrescita del settore fotovoltaico, nello specifico, ha visto concretizzarsi la definitiva battuta d’arresto proprio pochi anni dopo che l’azienda di Arturo ha realizzato il proprio impianto fotovoltaico. Con la fine del Quinto Conto Energia si sono chiusi i rubinetti dell'incentivazione statale e la valorizzazione dell’energia ceduta passava da un valore fissato per legge, al mercato libero. Di fronte a tale situazione l’intero settore del fotovoltaico è andato in crisi trascinando nel baratro tutte le realtà produttive che negli anni del boom si erano convertite al fotovoltaico. Anche la ditta che aveva costruito e curato la manutenzione dell’impianto ha subito profondi ridimensionamenti, lambendo il baratro del fallimento. Al presentarsi dei primi problemi di manutenzione, ad Arturo è stata scaricata ogni responsabilità operativa e amministrativa legata all’impianto, era da solo a gestire con le proprie forze l'impianto.

Nel frattempo, con l’emanazione del Decreto Ministeriale 31 gennaio 2014, il GSE ha iniziato la propria campagna di verifica e controllo sugli impianti fotovoltaici incentivati in conto energia, rendendo istituzionale il meccanismo delle ispezioni con sopralluogo. Le verifiche sugli impianti, già previste nei rispettivi conti energia, hanno subito un pesante aumento di numero e un severo inasprimento: l’occhio degli ispettori non si concentrava più sulla sola documentazione trasmessa al GSE (o caricata sul portale), ma ampliava il raggio d’azione e, di conseguenza, la quantità di documentazione necessaria ai fini della verifica. Da quell’anno in poi la macchina delle verifiche ha preso un avvio inarrestabile, contribuendo alla costruzione di statistiche drammatiche sulla percentuale di esiti negativi rispetto al quantitativo dei sopralluoghi e delle verifiche documentali effettuati. L’iter di verifica ha subito nel corso degli anni ulteriori complicazioni di procedimento: invece della documentazione cartacea gli ispettori hanno iniziato a richiedere un preciso elenco di documenti da caricare digitalmente sul portale GSE.

La perdita degli incentivi e la contestuale restituzione di quanto fino ad allora ricevuto era una prospettiva che le casse dell’azienda avrebbero subito come un colpo pesantissimo, se non addirittura fatale.

Arturo conosce bene la storia dell’impianto: quanti interventi sono stati fatti, quando, cosa è stato sostituito, del resto lavora in amministrazione e i numeri sono la sua comfort zone, ma al di là di quelli non sa esattamente cosa ci sia sull’impianto: sa che produce energia, che si traduce in remunerazione economica, ma l’aspetto tecnico e quello burocratico, di contenuto della documentazione che conserva, non gli appartengono.

Memore delle offerte di consulenza che gli erano state proposte nel tempo, ha ripreso contatti con gli esperti di settore che gli avevano consegnato la proposta più dettagliata, e che riteneva più strutturata.

I tecnici incaricati si mettono subito all’opera, visionando le carte ma anche facendo un sopralluogo per simulare le mosse degli ispettori GSE. 

Analizzano tutta le informazioni raccolte e fanno il punto della situazione, rilevando le carenze documentali e proponendo le soluzioni migliori per porvi rimedio.

Poco meno di un anno dopo l’azienda di Arturo riceve da GSE la comunicazione che da lì a pochissimi giorni, con un preavviso irrisorio, l’impianto sarebbe stato oggetto di una verifica documentale con sopralluogo volta ad appurare che possedesse nel 2011 i requisiti per accedere agli incentivi statali e che gli stessi requisiti fossero verificati anche al momento dell'ispezione. 

Arturo affronta serenamente la notizia, e anche la successiva verifica; gli ispettori sono ben lieti di constatare che non vi è alcuna carenza documentale e che tutte le sostituzioni avvenute nel tempo sono state comunicate correttamente al GSE.

Investire nel fotovoltaico è stata una operazione etica e remunerativa, occorre però avere la consapevolezza che il tipo di investimento sostenuto è, prima ancora che tecnologico, burocratico e amministrativo. Si può discutere a lungo su questo punto ma resta un dato di fatto, una verità inconfutabile le cui sorti dipendono in larga parte dal GSE ma ancor più dai produttori, dalla loro corretta e oculata gestione delle carte di impianto.

Questa storia - di fantasia soltanto nel nome del protagonista ma non nei fatti - mette in evidenza quanto prevedere una verifica della documentazione di impianto prima che il GSE bussi alla porta sia più che mai avveduto.  “Vegliate, perché non sapete in quale giorno il GSE verrà a trovarvi”. Potrebbe essere la parafrasi giusta che riassume quanto occorso, più prosaicamente il monito è quello di non farsi trovare impreparati, di non avere la “presunzione” che sia tutto a posto perché così sostiene chi ha realizzato l’impianto. La materia burocratica sottesa alle verifiche GSE è complessa, articolata e ricca di sfaccettature insidiose. Affidarsi agli esperti di settore è un investimento che può salvaguardare l’investimento.

06/04/2023

Accertamenti tributari sugli impianti fotovoltaici

Verbale di accertamento ai sensi del Decreto Legislativo 19/06/1997, n. 218 e dell’art. 50 della Legge 27/12/1997, n. 449. Capita sempre più sovente di incorrere in questo tipo di situazioni in cui società che offrono servizi per le pubbliche amministrazioni svolgano accertamenti tributari relativi al mancato “accatastamento” degli impianti fotovoltaici. Il termine “accatastamento”, volutamente virgolettato, è infatti usato in modo improprio poiché le tematiche legate alla valorizzazione di un impianto di generazione dell’energia derivante da fonte solare toccano ambiti e casistiche molteplici, differenti tra loro.

Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza. Partiamo da due assunti, richiamati in questo tipo di verbali di accertamento, che riguardano il concetto di unità immobiliare: secondo il RDL 652/1939 è definita tale ogni parte di immobile che (nello stato in cui si trova) è utile a produrre reddito; secondo il Decreto 2 gennaio 1998, n. 28 del Ministero delle Finanze (art. 2) l’unità immobiliare è il fabbricato, una porzione di esso, l’insieme dei fabbricati o l’area che (nello stato in cui si trova) presenta caratteristiche di autonomia funzionale e reddituale. Sulla base di quanto esposto, quindi come dovrebbero essere considerati gli impianti fotovoltaici? La Risoluzione n. 3T/2008 del 6 novembre 2008 dell’Agenzia del Territorio afferma che gli edifici ospitanti impianti fotovoltaici sono qualificabili come unità immobiliari e, pertanto, sottoposti a tassazione derivante dal reddito generato, mentre gli impianti stessi, equiparati a centrali elettriche, si definiscono quali opifici generatori di reddito, con riferimento alla specifica categoria catastale (D1) nella definizione della relativa rendita catastale. Con questi presupposti, all’art. 1, comma 21 della Legge 208/2015 (Legge di Stabilità 2016) si afferma che a partire dal 1° gennaio 2016, la determinazione della rendita catastale degli immobili a destinazione particolare, censiti nelle categorie D ed E (includendo quindi gli opifici e, quindi, gli impianti fotovoltaici) è effettuata tramite stima diretta, tenendo conto degli elementi che ne accrescono la qualità e l’utilità.

Tutto chiaro? Un impianto fotovoltaico costruito su un edificio aumenta la rendita catastale dello stesso. L’assunto enunciato è drastico e fuorviante, occorre fare dei distinguo specifici che tengano conto di diversi aspetti: la potenza dell’impianto, lo scopo per il quale è stato realizzato e, quindi, la pertinenza con l’immobile su cui sorge, fino al computo del reale delta del valore catastale dell’immobile.

Premettiamo che con la circolare 36/E del 19 dicembre 2013, il Ministero dell’Economia e della Finanza (MEF) ha riconosciuto ufficialmente gli impianti fotovoltaici come beni immobili, sia a livello catastale sia a livello fiscale. Gli impianti fotovoltaici, pertanto, possono essere riconosciuti come:

  • entità catastali autonome (categoria D/1, ovvero in D/10 se ne sussistono le condizioni previste nota prot. N.31892 del 22/06/2012 della DC CC); in questo caso si parla di impianti di grandi dimensioni, come i parchi fotovoltaici costruiti a terra, ma anche di grandi impianti costruiti su tetto svincolando il lastrico solare, ovvero strutture autonomamente funzionali poiché non sono state progettate per dare energia ad un edificio, ma per generare un reddito;
  • impianti di pertinenza di un immobile (nota prot. N.31892 del 22/06/2012 della DC CC) cioè posizionati ad esempio sul tetto di un edificio e ad esso legati, ovvero sistemi fotovoltaici installati da chi desidera produrre energia green da consumare nell’edificio interessato. I proprietari di questi impianti fotovoltaici non sono obbligati a dichiararli a catasto come entità autonome, assumendo però che la loro realizzazione contribuisce ad una variazione della rendita catastale; tale condizione, tuttavia, non è detto che si verifichi sempre: dipende dalla potenza dell’impianto, espressa in kW, e intesa come valore assoluto o in relazione al numero delle unità immobiliari asservite all’impianto stesso.

Le condizioni di applicabilità della norma, infatti, prevedono che non sussista alcun obbligo di dichiarazione al catasto (Circolare 36/E), né come unità immobiliare autonoma né come variazione della stessa (in considerazione della limitata incidenza reddituale dell’impianto) qualora sia soddisfatto almeno uno di questi tre requisiti: che la potenza nominale dell’impianto fotovoltaico non sia superiore a 3 kWp per ogni unità immobiliare servita dall’impianto stesso; che la potenza nominale complessiva espressa in kWp non sia superiore a tre volte il numero delle unità immobiliari, le cui parti comuni sono servite dall’impianto, indipendentemente dal fatto che l’impianto sia installato al suolo oppure sia architettonicamente o parzialmente integrato ad immobili già censiti al catasto edilizio urbano; limitatamente ai soli impianti installati a terra, che il volume individuato dall’intera area destinata all’intervento (comprensiva, quindi, degli spazi liberi tra le vele di pannelli, i piazzali, gli stradelli e le vie di accesso e circolazione) e dall’altezza relativa all’asse orizzontale mediano delle strutture su cui sono fissati i pannelli fotovoltaici, sia inferiore a 150 m3, in coerenza con il limite volumetrico stabilito dall’art. 3, comma 3, lettera e) del Decreto Ministeriale 2 gennaio 1998, n. 28.

Definita l’applicabilità o meno della norma al caso specifico, al fine di definire l’ambito in cui ricade l’impianto oggetto di accatastamento e, quindi, la tipologia di attività tecnico amministrativa da utilizzare per la registrazione dell’impianto, si adotta convenzionalmente la distinzione tra entità catastali autonome e impianti di pertinenza di un immobile.  

Nel primo caso ci si riferisce a entità il cui scopo non è quello di provvedere al fabbisogno elettrico/energetico di un edificio bensì quello di vendere l’energia prodotta dall’impianto per creare dei guadagni. Nella stima del valore catastale di queste entità, così come definito nella Legge di Stabilità 2016 (art. 1, comma 21), occorre tenere conto anche di aspetti, apparentemente ancillari ma in verità rilevanti quali: nel caso di impianti realizzati sulla copertura di edifici (e da essi svincolati tramite frazionamento del lastrico solare), le dimensioni dell’elemento strutturale che sorregge l’impianto, ovvero la copertura e/o il solaio; nel caso di impianti ancorati al suolo, le dimensioni della porzione di terreno su cui poggia l’impianto sorge; le dimensioni dei locali tecnici in cui sono installati gli apparati di conversione e di trasformazione, nonché i sistemi di controllo; nel caso specifico di impianti installati a terra, l’entità e la dimensione delle sistemazioni (quali recinzioni, platee di fondazione, viabilità etc) localizzate nel perimetro dell’unità immobiliare.

Nel caso di impianti di impianti di pertinenza di un immobile, ovvero legati all’edificio allo scopo di produrre energia elettrica utile ai produttori stessi per far funzionare i principali servizi elettrici, siano essi semplici utenze o attività produttive, si parla di aumento del valore catastale dell’immobile stesso la cui applicabilità, tuttavia, si concretizza solo nel caso in cui gli impianti fotovoltaici possiedano queste caratteristiche: devono avere potenza nominale superiore a 3 kWp e contemporaneamente generare un incremento superiore al 15% del valore catastale dell’immobile (circolare n. 10 del 4 agosto 2005, applicazione dell’articolo 1, comma 336, della legge 30 dicembre 2004, n. 311); oppure, avere una potenza nominale superiore di tre volte il numero delle unità immobiliari servite dal sistema.

Al fine di valutare il possibile aumento del 15% del valore dell’immobile a catasto, conseguente alla realizzazione di un impianto fotovoltaico, è possibile procedere, con l’ausilio di un professionista, ad una verifica preliminare atta a determinare il valore catastale del solo impianto fotovoltaico, da mettere in relazione con la rendita dell’immobile.

Nel caso particolare di impianti installati sui locali di un’impresa o attività produttiva, nella circolare del 19 dicembre 2013 sono specificate le norme per la valorizzazione immobiliare dei citati impianti, che vengono equiparati a beni immobili, soggetti quindi all’obbligo di accatastamento, ammortizzandoli con l’aliquota specifica, pari al 4%, per un periodo di 25 anni.

La costellazione di impianti fotovoltaici realizzati tra il 2007 e il 2013, usufruendo dei vantaggi derivanti dagli incentivi dei cinque conti energia che si sono succeduti in questo lasso temporale ha portato con sé, quasi come naturale conseguenza, la definizione di un ambito tributario prima non contemplato. Se inizialmente la norma, non considerando gli impianti fotovoltaici come sistemi specifici a servizio degli immobili, li equiparava al pari di edifici determinando una tassazione insensata, con la chiusura dei conti energia ci si è trovati di fronte ad un parco di circa 550mila impianti realizzati che necessitavano di un sistema e un metodo di valorizzazione specifico. L’evoluzione normativa iniziata nel 2013 ha trovato una definizione quasi completa con la legge di stabilità 2016.

Quale figura professionale può aiutare a fare chiarezza e ridurre la portata sanzionatoria del verbale di accertamento?

Il quadro normativo, con le sue definizioni e gli ambiti applicativi, non è tuttavia un mare privo di insidie: se gli accertamenti tributari sono sicuramente una trappola volta a colpire i produttori inadempienti che non hanno ponderato quanto un edificio possa essere valorizzato grazie alla presenza di un impianto fotovoltaico e del contributo derivante dagli (eventuali) incentivi e dalla vendita dell’energia, districarsi tra le pieghe della normativa richiede che convivano insieme approccio tecnico, una chiara coscienza delle implicazioni che ogni attribuzione catastale porta con sé e una sufficiente dose di “flessibilità”, cioè capacità di adattare la norma, apparentemente rigida e non interpretabile, al caso specifico.

La figura del consulente dell’azienda, ad esempio del geometra che governa i Docfa catastali o dell’energy manager, necessita di essere accompagnata e guidata da un professionista con un punto di vista più specifico, squisitamente legato al mondo fotovoltaico, che può offrire solo un consulente tecnico-amministrativo proveniente dal settore.

06/04/2023

E vissero tutti incentivati e contenti

Ve la ricordate la storia del signor Giovanni? Quasi un anno fa vi raccontammo della sua storia, o meglio delle vicende che lo hanno accompagnato dalla realizzazione del suo impianto, fino al momento dell’incontro faccia a faccia con il GSE durante il sopralluogo di verifica e la successiva richiesta di integrazioni per quella carta sbagliata che ha messo in crisi tutte le sue certezze.

Era la fine dell’anno 2020, come spesso accade il GSE riserva le sorprese migliori quando l’anno è in dirittura d’arrivo, poco prima delle festività, quasi fossero strenne natalizie. Che cosa è successo nel frattempo? Quale sarà stato l’epilogo?

Come già raccontato nel precedente episodio, di fronte alla lettera del GSE che gli riferiva delle evidenze della verifica, mettendo l’accento su una SCIA trasmessa in luogo del titolo autorizzativo richiesto, della quale si contestava che la data riportata fosse successiva all’entrata in esercizio dell’impianto, intimandolo a replicare in merito entro 30 giorni, pena la chiusura del procedimento sulla base degli elementi raccolti, ovvero mistificando tra le parole la possibile decadenza dell’incentivo e la contestuale restituzione di quanto già percepito, Giovanni ha deciso di non arrendersi e di arruolare le persone giuste per combattere questa ultima battaglia.

Come d’abitudine il tempo a disposizione era molto poco, 30 giorni sono un battito di ciglia di fronte ai tempi della pubblica amministrazione quando si tratta di produrre accessi agli atti che, già di norma, prevedono tempistiche lunghe che in periodo di Covid 19 e conformità urbanistiche in ottica Superbonus 110% si sono ulteriormente dilatati. La verità è negli occhi di chi la sa guardare, è il titolo di un libro uscito qualche anno fa, da cui poi è stato tratto il film. Estrapolando la frase dai contesti raccontati nel romanzo e utilizzandola come chiosa delle vicende di cui stiamo trattando, riassume quanto accaduto. La comunicazione minatoria del GSE dalle parole sibilline sottintendeva, di fatto, due possibilità, un bivio certo pericoloso tra vita o morte, ma pur sempre una via d’uscita. Di fronte alle criticità si può reagire, d’istinto, oppure, più coscientemente, ritrarsi, soffermarsi ed elaborare una strategia. Giovanni ha saggiamente scelto la seconda via, quella dell’agire anziché reagire. Riconoscere che le proprie competenze specifiche appartengono ad un ambito diverso da quello tecnico amministrativo inerente alla verifica GSE non è un fallimento bensì un valore aggiunto, significa contemplare l’idea di avvalersi della competenza di esperti di settore che trattano la materia quotidianamente, ne conoscono le pieghe, i non detti, le sfumature, le sanno leggere e interpretare nello specifico delle richieste e nell’ottica complessiva dell’iter di verifica. Anche restringendo la narrazione al mero calcolo delle probabilità è più facile che la soluzione al problema arrivi da un esperto, senza contare che occuparsi in prima persona di ottemperare alle richieste del GSE avrebbe significato per il signor Giovanni sottrarre tempo alla propria azienda, aggiungendo all’incertezza già di per sé alta un ulteriore margine di rischio derivante dagli imprevisti legati alla gestione della propria attività imprenditoriale.

Pensai et congettai, scriveva Niccolò Macchiavelli ne “Il Principe”. Gli esperti di settore agiscono così: fermano il gioco con calma serafica, analizzano il dettaglio delle richieste facendo il punto della situazione e allargano lo sguardo al contorno alla ricerca di ogni pezzo affinché il puzzle sia il più possibile completo e l’azione successiva mirata e risolutiva. Ricordate Pulp Fiction e il celeberrimo Signor Wolf (Risolvo Problemi)? La strategia risolutiva descritta nelle scene della pellicola nasceva dalla descrizione del quadro complessivo. Allo stesso modo nel caso del signor Giovanni la soluzione era già lì a portata di mano, ma senza che fossero di nuovo analizzate tutte le carte e ricostruita la storia dell’iter autorizzativo dell’impianto non sarebbe stato possibile redigere il memoriale difensivo da consegnare al GSE.

C’era solo una carta con una data sbagliata, una evidenza inconfutabile, ma cosa diceva davvero quel documento? Contrariamente a quanto si pensa comunemente la Segnalazione Certificata di Inizio attività – SCIA non appartiene unicamente all’ambito autorizzativo di tipo edilizio, tutt’altro. La SCIA è una pratica asseverate che indica l’inizio di una attività commerciale che, nello specifico ambito delle autorizzazioni alla costruzione, inizia con l’avvio dei lavori di realizzazione del manufatto e si chiude con la Fine Lavori, documento da presentare obbligatoriamente al termine del cantiere. La SCIA che il signor Giovanni ha fornito al GSE, però, non faceva riferimento ad una attività di costruzione, tant’è che non era presente alcuna comunicazione di fine lavori, bensì all’avvio dell’attività del signor Giovanni nella doppia veste di stimato imprenditore nel settore agroalimentare e Produttore Elettrico, in quanto titolare di un impianto di produzione di energia.

In assenza di ulteriori evidenze che chiarissero l’inconsistenza di quel documento rispetto al procedimento che ha portato all’autorizzazione alla costruzione dell’impianto restava solo un documento con una data successiva alla realizzazione dell’impianto, tanta nebbia la cui mancanza di chiarezza per il GSE costituisce reato, con tutte le conseguenze del caso.

L’importanza di saper leggere il documento ha messo i tecnici incaricati nelle condizioni di capire che quella carta non era il documento corretto e che, per forza di cose, era stata prodotta una diversa autorizzazione. Occorreva reperirla con urgenza e verificarla. Dove? Come? Per tutti gli impianti di tipologia analoga a quella dell’impianto del signor Giovanni l’ente di riferimento ai fini dell’autorizzazione alla costruzione è sempre il Comune. Noto questo è stata condotta con celerità una ricerca negli archivi dell’Ufficio Tecnico alla ricerca del titolo autorizzativo corretto: una semplice dichiarazione di attività edilizia libera, comunicazione inoltrata al Comune prima della realizzazione dell’impianto e recante il protocollo con evidenza della data di ricezione. Eureka! La ricerca aveva dato i frutti sperati, era scritto in quella carta, in quella data, ma Giovanni non era ancora salvo. Occorreva riprendere in mano tutti gli elementi, ricostruire tutti i riferimenti, la loro genesi e le relazioni che li connettevano e raccontare, sotto forma di relazione tecnica, una storia che fosse plausibile e veritiera senza lasciare nulla al caso, mettersi nei panni del GSE e non farsi ingannare da ciò che poteva apparire come evidente agli occhi del relatore, dettagliando il racconto al fine di portare l’attenzione su ciò che era veramente importante, rendendolo evidente, inattaccabile, inappuntabile.

I tecnici hanno prodotto una relazione tecnica, allegato l’evidenza del documento autorizzativo corretto e trasmesso tutto al GSE nei tempi richiesti nella comunicazione inviata al signor Giovanni.

Era il gennaio del 2021, pochi giorni fa l’epilogo. Il racconto ha convinto il GSE della bontà dell’operato di Giovanni, dell’errore innocente nell’aver trasmesso un documento relativo all’impianto ma non attinente alla specifica richiesta fatta dal GSE relativamente all’autorizzazione alla costruzione dell’impianto. Con comunicazione ufficiale su propria carta intestata il GSE ha notificato la conclusione del procedimento con esito positivo.

Un sussulto al cuore, l’ansia di leggere del destino del proprio impianto e, di concerto, della propria attività imprenditoriale sotto il logo verde del Gestore dei Servizi Energetici, fino alla liberazione. È finita! Nulla ripagherà mai Giovanni del tempo speso dietro a questa vicenda, solo il lieto fine compensa il lungo viatico che ha messo la parola fine a questa vicenda, preservando l’integrità di Giovanni e l’etica del suo investimento e dei guadagni da esso derivanti.

Tutto è bene quel che finisce bene. La morale sottesa questa storia era già nelle righe del racconto precedente, l’epilogo positivo non vuole rimarcarla né essere un elogio ai tecnici che hanno lavorato affinché la matassa si dipanasse con successo e la verità venisse alla luce in modo inconfutabile. La verità nell’ambito ristretto della materia burocratica sottesa alle verifiche GSE non è sempre oggettiva, ha spesso bisogno di essere indirizzata e descritta con gli occhi di chi poi la dovrà analizzare e validare. La reazione tempestiva non sempre porta al successo, nasconde troppe variabili che possono rivelarsi insidiose o addirittura traditrici. Ogni buon racconto, per poter essere scritto, necessita di una trama definita all’origine.

Conoscere la storia di un impianto portando alla luce criticità e punti di forza attraverso una verifica preliminare della documentazione - fatta spontaneamente in ottica preventiva e riservandosi il tempo per porre rimedio ad eventuali difformità dalle norme, prima che sia il GSE a imporla in ottica repressiva - è il plus che aiuta a indirizzare il racconto, a portarlo al lieto fine: e vissero tutti incentivati e contenti.

06/04/2023

Energia al centro del piano di sviluppo

 

Ci eravamo lasciati affrontando con uno sguardo panoramico il tema della transizione ecologica, osservandolo a tutto tondo nelle sue differenti sfaccettature, che lambiscono ambiti apparentemente e concettualmente slegati, almeno fino ad ora. Il 12 novembre 2021 a Glasgow si sono conclusi i lavori della COP26, la conferenza sul clima organizzata annualmente dalle Nazioni Unite, nell’ambito della Conferenza quadro sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC). Il principale obiettivo individuato dalla conferenza era incentrato sulla mitigazione, ovvero  azzerare le emissioni nette entro il 2050 e contenere l’aumento delle temperature non oltre 1,5 gradi, accelerando l’eliminazione del carbone, riducendo la deforestazione ed incrementando l’utilizzo di energie rinnovabili. Per la prima volta viene riconosciuto che l’obiettivo delle politiche climatiche deve essere quello di mantenere la temperatura globale entro un aumento massimo di 1,5°C rispetto all’epoca preindustriale. Solo 6 anni fa, con l’Accordo di Parigi, ci si era preposti come obiettivo di contenere l’aumento delle temperature entro i 2°C: essere riusciti ad inserire un riferimento molto più stringente e’ uno dei risultati più importanti della COP26 e aver inserito un tale riferimento implica che le politiche climatiche, messe in atto dai diversi Paesi, dovranno essere aggiornate e rinforzate.

In ambito nazionale, già nel mese di luglio 2021, il ministro della Transizione Ecologia Roberto Cingolani in audizione al Senato aveva licenziato il nuovo PNIEC – Piano Nazionale Integrato Energia e Clima 2030, integrando il testo presentato all’Unione Europea nel gennaio 2020 e alzando, di fatto, l’asticella dell’incremento di produzione di energia rinnovabile: se nel vecchio testo era prevista la realizzazione di 39 GW di impianti alimentati da fonti rinnovabili, la nuova proposta innalza l’obiettivo a 60 GW, focalizzando l’attenzione su fatto che tale aumento sarà ripartito sia a carico delle rinnovabili programmabili (idroelettrico, bioenergie, geotermia) che non (fotovoltaico ed eolico), con le seconde pronte a giocare la parte del leone.

La vera svolta, tuttavia, ha avuto la propria epifania con il Decreto Legislativo n. 199 del 8 novembre 2021 meglio noto come Decreto RED II, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 1 dicembre ed entrato in vigore il 15 dicembre 2021. Il cambio di paradigma annunciato è qui, ora. La norma non solo recepisce integralmente gli obiettivi definiti dalla Direttiva UE 2018/2001 sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, ma integra al suo interno le disposizioni del PNIEC modellandole all’utilizzo dei finanziamenti europei derivanti dal PNRR. Le 166 pagine che compongono il decreto e i relativi allegati costituiscono contemporaneamente la summa e le basi della transizione energetica che permeerà tutti gli aspetti del mondo che ci circonda, entrando fin nel quotidiano.

Andiamo per ordine. Il Decreto RED II ingloba al proprio interno tanto il contenuto del FER II, che era atteso per agosto 2021, tanto il recepimento definitivo della Direttiva UE 2018/2001 (RED II) in tema di comunità energetiche e autoconsumo condiviso.

Gli articoli 4 e 5 del nuovo decreto ripropongono, a tutti gli effetti, il meccanismo incentivante definito nel DM 04/07/2019, meglio noto come FER I: fino ad esaurimento dei contingenti di potenza non ancora assegnati, resterà quindi valido il meccanismo di accesso diretto alle tariffe incentivanti per gli impianti cosiddetti di “piccola taglia” (potenza inferiore a 1 MW) che abbiano costi di generazione vicini alla competitività di mercato (ovvero, nella logica del capacity market,tutti gli impianti per cui si definisca un prezzo di vendita dell’energia, dato dal rapporto tra costo di realizzazione e la capacità produttiva,  contenuto per i consumatori del mercato italiano), mentre quelli meno competitivi sotto 1 MW avranno accesso ai registri e quelli con potenza maggiore di 1 MW accederanno agli incentivi con il meccanismo delle aste al ribasso, i cui criteri saranno definiti attraverso i decreti attuativi, da definirsi entro 180 giorni dall’entrata in vigore del Decreto RED II. La vera novità riguarda la definizione delle cosiddette aree idonee all’installazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, per le quali è attribuito un coefficiente di accesso prioritario, tanto per l’accesso diretto agli incentivi, quanto per i registri e le aste.

Il non aver ampliato i contingenti di potenza disponibili ai fini dell’assegnazione degli incentivi, pur a fronte dell’innalzamento a 60 GW di potenza complessiva di impianti alimentati da fonti rinnovabili, pone l’attenzione su quanto si stia puntando in direzione della promozione dei sistemi di accumulo e del consumo locale dell’energia. La definitiva spinta in questa direzione, iniziata con gli incentivi derivanti dal Superbonus 110% che tra gli interventi trainati prevedeva massimali fino a 1.000 Euro/kWh per capacità di accumulo delle batterie, è arrivata con l’abolizione del meccanismo dello Scambio sul Posto – SSP: dall’approvazione del decreto non è più possibile attivare questo tipo di convenzione di vendita dell’energia e dal 1 gennaio 2025 dovrà avere avvio la progressiva conversione degli impianti realizzati in SSP verso impianti in autoconsumo.

La spinta maggiore al raggiungimento degli obiettivi tracciati dalla Direttiva Europea RED II e dal PNIEC verranno però dal mondo dell’edilizia: con l'approvazione del nuovo decreto si stabilisce infatti che non solo per le nuove costruzioni ma anche per tutti gli interventi di "ristrutturazione significativa", ovvero per tutti gli interventi sulle abitazioni esistenti che comportino la richiesta di un titolo edilizio (CILA), sarà obbligatorio prevedere la realizzazione di un sistema di generazione di energia da fonte rinnovabile, il cui dimensionamento è dato dalla moltiplicazione della superficie abitativa per il coefficiente k specifico. Se fino a qualche tempo fa l'attenzione sulla tipologia di generatore da realizzare spaziava tra solare termico e fotovoltaico, con l'affermarsi dei sistemi di riscaldamento ibridi con pompa di calore e con il progressivo avanzamento dei cantieri aperti grazie al Superbonus 110%, i pannelli fotovoltaici sono divenuti, a tutti gli effetti, la forma di generazione di energia a servizio delle abitazioni di più facile installazione.

La naturale conseguenza di questo proliferare di impianti di piccole dimensioni a servizio delle abitazioni o dei condomini costituirà, nelle intenzioni dei legislatori, il terreno ideale per l'attecchimento e la definitiva concretizzazione del più grande obiettivo che la transizione ecologica porta con sé: il consumo locale dell'energia attraverso l'aggregazione dei soggetti produttori e dei soggetti consumatori, che divengono prosumer e/o si aggregano a formare le Comunità Energetiche - CER. Se fino ad ora il Superbonus 110% aveva fatto leva per la costituzione di forme di aggregazione puntuali, individuate nei condomini con Autoconsumo Condiviso - AC, la creazione obbligatoria di impianti di generazione da fonti rinnovabili abbinata agli interventi edilizi spinge in maniera decisa alla costituzione di forme solidali di produzione e consumo di energia rivolte ad un bacino di partecipazione più ampio. In questa direzione si colloca quella che possiamo facilmente identificare come la grossa rivoluzione delle CER che, con il Decreto RED II, vedono superati i limiti strutturali previsti dalla precedente normativa: impianti collocati sotto la medesima cabina primaria AT/MT, e non più MT/BT e inclusione degli impianti realizzati prima del marzo 2020, fino al 30% della potenza complessiva della CER e con limite di potenza fino a 1MW per ciascun impianto. I Comuni e le piccole amministrazioni giocheranno un ruolo fondamentale nel traghettare questa transizione poiché avranno il duplice compito di fungere da collettori e da patrocinio alla creazione di comunità energetiche sul territorio, ma soprattutto dovranno essere esempi virtuosi. Se il caso di Magliano Alpi ha messo sulla bocca di tutti gli addetti ai lavori e non il concetto di comunità energetica rinnovabile, è pur vero che da lì poco o nulla si è mosso e l'auspicato effetto domino ha tardato a manifestarsi. Grazie alle agevolazioni economiche derivanti dal PNRR che si inseriscono nel nuovo quadro normativo, i piccoli Comuni avranno la possibilità di ricevere finanziamenti e agevolazioni alla costituzione di nuove comunità energetiche che si insedino sul territorio e coinvolgano amministrazione e cittadini. Non solo: abbiamo fino ad ora confinato le CER nello stretto ambito correlato alla produzione di energia elettrica, ma chi ha vissuto gli albori di questa utopia che ora è divenuta realtà ha sempre avuto lo sguardo ben più ampio, includendo nel concetto di comunità energetica rinnovabile anche la produzione e la condivisione di energia termica. Proprio in questa direzione si colloca la grande novità del Decreto RED II che, includendo di fatto al proprio  interno il "nuovo conto termico" e il quadro normativo relativo ai finanziamenti derivanti dal PNRR, punta alla produzione delle risorse locali in grado di creare energia e pone particolare attenzione alla creazione di centrali termiche alimentate da biomasse legnose in grado di produrre energia termica su vasta scala. Se pensiamo ai comuni montani che dispongono di risorse legnose e di abbondanza di materiale di risulta dalla lavorazione della materia prima principale, si può tranquillamente immaginare che ciò che fino ad ora ha determinato il progressivo abbandono delle montagne, ovvero la carenza di servizi basilari come energia e calore, viene spazzato via in modo virtuoso.

Il ruolo chiave di coordinatore di questo processo di transizione sarà affidato al Gestore dei Servizi Energetici - GSE, la cui posizione diverrà sempre più centrale e di riferimento. Se la realizzazione di piccoli impianti passerà attraverso un processo autorizzativo assodato, la costruzione di impianti di grandi dimensioni, che siano a servizio della comunità o che ricadano sotto il cappello del meccanismo incentivante, subirà un deciso snellimento. La nuova norma procede infatti sulla strada della semplificazione, accentrando e semplificando gli iter di autorizzazione unica per i quali sarà previsto un modello unico e che ricadranno tutti sotto l'egida del GSE, il cui portale sarà implementato includendo anche lo specifico servizio di individuazione delle aree idonee, già citate in riferimento ai criteri preferenziali per la collocazione nei registri per l'assegnazione degli incentivi.

"Oggi non è che un giorno qualunque di tutti i giorni che verranno, ma ciò che farai in tutti i giorni che verranno dipende da quello che farai oggi", così scriveva Ernest Hemingway. Il COP26 ha messo in chiara evidenza che c'è troppo poco tempo per demandare ulteriormente la presa di responsabilità che la vita su questo pianeta potrà perpetrare solo in armonia con esso. Non solo i professionisti di settore ma tutti sono chiamati ad affrontare la sfida cruciale di questa epoca, quella di garantire un futuro. Abbiamo gli strumenti per innescare un processo virtuoso in grado di cambiare il paradigma che fino ad ora ci ha accompagnato: il legislatore ha normato quella che era una via auspicata da tempo, a tutti la coscienza di seguirla.

06/04/2023

Cambio di paradigma

La stretta attualità ha portato sulla bocca di tutti i temi legati alla transizione ecologica. Con il cambio del timoniere alla guida del Governo, il Dipartimento per la Transizione Ecologica e gli investimenti verdi, costola del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ha sostituito il precedente ministero dando al neo-ministro Roberto Cingolani il preciso compito di raggiungere gli obiettivi definiti dalla Direttiva UE 2018/2001 sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, meglio nota come RED II. La norma alza l’asticella degli obiettivi europei in fatto di energie rinnovabili fissando per il 2030 il traguardo del raggiungimento del 38-40% dell’energia prodotta da fonti rinnovabili. La revisione della direttiva RED II, tuttavia, rientra in un progetto di portata ben più ampia, denominato “Fit for 55” che, originariamente (la dead-line è stata procrastinata causa rallentamenti determinati dalla pandemia Covid-19), prevedeva una revisione entro l’estate 2021 di tutta l’attuale legislazione su clima ed energia per renderla adatta raggiungimento all’obiettivo di riduzione delle emissioni. Lo stesso ministro della Transizione Ecologica ha recentemente dichiarato che “nel 2030 il 70-72% dell’elettricità dovrà essere prodotta prevalentemente da centrali eoliche o fotovoltaiche”.

Sullo scenario legato alla transizione ecologica si innesta, in una sorta di ruolo di cavallo di Troia, il quadro normativo del bonus 110%. L’articolo 119 del Decreto Legge n. 34 del 2020, noto come Decreto Rilancio, ha infatti introdotto una detrazione pari al 110% delle spese relative a specifici interventi di efficienza energetica e di misure antisismiche sugli edifici. Se, relativamente agli interventi di efficientamento energetico, il focus è sicuramente concentrato sugli interventi di tipo “passivo” definiti interventi trainanti, ovvero volti alla riduzione delle dispersioni, è pur vero che tra gli interventi trainati è previsto un monte opere fino a  48.000 Euro (da detrarre dal monte opere complessivo e comunque nel limite di spesa di 2.400 Euro per ogni kW di potenza di picco) per la realizzazione di impianti fotovoltaici ad uso domestico, cui si aggiunge la possibilità di una ulteriore detrazione di 1.000 Euro per ogni kW di potenza di picco per l’installazione contestuale o successiva di sistemi di accumulo integrati all’impianto di generazione di energia da fonte solare fotovoltaica.

Con l’ormai pressoché certa ridefinizione del meccanismo dello Scambio sul Posto  - SSP per gli addetti ai lavori -  e, soprattutto, con l’approssimarsi della scadenza delle convenzioni incentivanti che hanno costituito il primo volano all’affermazione e allo sviluppo delle energie rinnovabili in Italia, si rendeva necessario mettere in atto meccanismi virtuosi volti all’implementazione del parco dei sistemi di generazione di energia da fonti rinnovabili con il duplice obbiettivo di virare nettamente dagli investimenti in grandi parchi di generazione verso micro investimenti puntuali e localizzati, puntando dritti al traguardo definito dalla RED II. I meccanismi incentivanti del FER I, DM 04/07/2019, vedranno la propria chiusura con l’ultima finestra di accesso di settembre. Per i grandi parchi di generazione da fonte eolica il futuro si chiama “repowering”¸ principalmente legato alla conversione verso le rinnovabili dei grandi gruppi di produzione di energia, quali ENI ad esempio, che entro il 2025 avrà definito la propria pipeline completando la transizione dalle fonti fossili, nell’ottica anche di uno spostamento definitivo verso la mobilità elettrica. Per il fotovoltaico, che è da sempre una tecnologia più vicina ai comuni cittadini si prospetta però un futuro differente.

I trader più avveduti già da tempo hanno fiutato il vento della transizione energetica e hanno iniziato a realizzare i propri asset di impianti. I grandi parchi fotovoltaici realizzati a terra, tuttavia, portano con sé il grosso limite di essere invasivi, divorano fette di territorio e soprattutto, mutuano da uno schema di antica concezione che non sa prescindere dalla necessità di veicolare l’energia da un luogo all’altro della penisola, incapace spesso di raggiungere le zone più lontane e disperse tra le montagne che, ricordiamolo, tra Alpi e Appennini, occupano gran parte del territorio e raccontano sovente di episodi insediativi che si sono spopolati per mancanza di risorse.

La pandemia ci ha raccontato con evidenza eclatante che le dinamiche della mobilità, dell’occupazione del suolo e dello sfruttamento delle risorse energetiche devono essere necessariamente ripensate, coinvolgendo un aspetto fino ad ora sottaciuto in nome del profitto e della redditività. La socialità e le relazioni sono l’aspetto che più di tutti è stato messo in crisi con i lockdown forzati vissuti negli ultimi due anni, ma non solo: ci si è (finalmente) accorti di quanto la relazione uomo-natura sia pregnante anche tra i sostenitori degli agglomerati cittadini. È innegabile che la città appaghi il bisogno di servizi primari, ai quali si sono ormai da tempo aggiunte la connettività e la copertura di rete, ma è altrettanto vero che il concetto di inclusività che ammantava “la città che rende liberi” di derivazione romantica, legata all’emancipazione dai vincoli di subordinazione e dipendenza di tipo feudale prima, e dalla ricerca di una maggiore ricchezza materiale, sociale e culturale poi, è definitivamente entrato in crisi. Ora che ci troviamo nel mondo postindustriale, immersi nella crisi strutturale di un modello capitalistico-globale urbanocentrico e consumistico la città non è più un modello inclusivo, ma esclusivo: costi e dimensioni delle abitazioni e prossimità al verde costituiscono gli elementi di una nuova scala di valori i cui effetti riflettono un progressivo allontanamento dalle città stesse.

Giunto temporalmente dopo, quale conseguenza diretta delle iniziative volte ad arginare la crisi post Covid-19, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza - PNRR raccoglie certamente le risposte alla crisi economica successiva alla pandemia ma soprattutto pone l’accento sul tema della transizione ecologica ed energetica. Le sei missioni del piano sono: 1. digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura, turismo; 2. rivoluzione verde e transizione ecologica; 3. infrastrutture per una mobilità sostenibile; 4. istruzione e ricerca; 5. inclusione e coesione; 6. salute. Il piano è in piena coerenza con i sei pilastri del NGEU (Next Generation EU, programma dell’Unione Europea che ha destinato fondi per la ripresa causata dalla crisi pandemica) e soddisfa largamente i parametri fissati dai regolamenti europei sulle quote di progetti verdi e digitali.

Costruire non è più una necessità e anche il settore dell’edilizia, da sempre trainante per il Paese, sembra aver compreso la necessità del cambio di passo e di obbiettivi. Il focus non è più urbanizzare ma fornire una risposta al nuovo trend che contempla lo svuotamento delle città. Il recupero del patrimonio edilizio esistente, già contemplato nell’ articolo 119 del Decreto Rilancio con il Bonus 110%, diviene tema nodale della rivalorizzazione dei borghi, montani e non, che costituisce l’ossatura del PNRR.

La sfida però è un’altra. Nell’era della globalizzazione della connettività per far rivivere i borghi occorre necessariamente che vengano livellati gli svantaggi che fino ad ora ne hanno determinato il progressivo abbandono, ovvero che sia garantito un facile accesso alla connettività ma soprattutto all’energia. Ecco la sfida dei borghi, delle piccole comunità e progressivamente, sempre più ad ampio raggio, delle configurazioni urbanizzate: l’autosufficienza energetica.

Con la coerente e improrogabile rinuncia alle fonti fossili, sempre più energia diviene sinonimo di energia elettrica pulita. La normativa elettrica italiana ancora oggi impedisce, a chiunque sia raggiunto dal servizio elettrico nazionale, di rendersi indipendente dalla fornitura di energia elettrica e di realizzare cosiddetti impianti a isola. Dunque come perseguire la nuova linea tracciata dal PNRR senza mettere mano alla norma? Se l’obbiettivo condiviso è consumare meno, spendere meglio e garantire a tutti l’accesso all’energia occorre un ribaltamento del paradigma: il ruolo del cittadino/abitante deve necessariamente mutare da mero utente passivo a partecipante attivo, prosumer, produttore/consumatore.

Le Comunità Energetiche sono da tempo realtà assodate nel resto d’Europa. I primi esempi di aggregazione allo scopo di produrre e consumare localmente energia pulita derivante da fonti rinnovabili, vedono la loro nascita in Danimarca intorno ai primi anni duemila, affermandosi poi anche in Germania e in Francia. Il dibattito intorno alle Comunità Energetiche è da tempo al centro dell’attenzione in Italia: dapprima circoscritta agli esperti di settore ha rapidamente ampliato la propria portata divenendo parte integrante delle linee guida delle normative energetiche di carattere regionale, quale quella piemontese, che ha puntato dritto al concetto di beneficio energetico diffuso. La Legge 12/2018 Regione Piemonte, antesignana dell’attuale normativa nazionale, ha introdotto il concetto di Comunità Energetica dei Cittadini – CEC,  definendo di fatto il ruolo fondamentale delle amministrazioni comunali quali promotori della creazione di soggetti giuridici senza fini di lucro che abbiano quale unica finalità la produzione e il consumo locale di energia (energia prodotta e auto consumata ≥ 70%). Una vera e propria sfida ai territori, in cui le amministrazioni comunali piccole e grandi giocano un ruolo attivo attraverso una analisi del bilancio energetico, l’ottimizzazione della gestione reti che confluiscono nella definizione di un documento strategico a carattere locale o sovra comunale, in aderenza a quanto stabilito con il Piano Energetico Ambientale Regionale – PEAR. Sulla scorta delle linee guida tracciate dalla LR 12/2018, sono nate  la Comunità Energetica Pinerolese, la Comunità Energetica della Val Susa, la Comunità Energetica della Val Grana e Val Maira che, precorrendo i tempi, hanno accolto la sfida della transizione ecologica quale trampolino di lancio di una sfida ben più grande: far rivivere la montagne e i piccoli borghi garantendo accesso all’energia e alle comunicazioni.

Con la definizione della Delibera ARERA 318 dell’agosto 2020 sulle partite economiche e la successiva pubblicazione delle Regole Tecniche GSE per l’accesso al servizio di valorizzazione e incentivazione dell’energia condivisa, nel dicembre 2020, sono stati ufficialmente normati le Comunità Energetiche Rinnovabili – CER e l’Autoconsumo Condiviso – AC, allo scopo preciso di rispondere alle indicazioni della normativa europea RED II e fornire quei vantaggi ambientali, sociali ed economici richiesti dall’Unione Europea. Se la portata delle CER in relazione ai territori è ormai evidente, non meno importante è il ruolo dell’AC: sfruttando i vantaggi derivanti dal Superbonus 110% riservato agli immobili residenziali, nonché le agevolazioni dell’Ecobonus 50%, l’Autoconsumo Condiviso segna una vera e propria rivoluzione dei contatori. Interi condomini potranno produrre energia ridistribuendola tra le famiglie e con il meccanismo dei contatori virtuali sarà possibile utilizzare i dati e la loro elaborazione al fine di ottimizzare i consumi in funzione dei momenti di maggior produzione o delle capacità di accumulo del sistema, fino a definire veri e propri sistemi di pagamento con moneta virtuale (Blockchain energetica), già allo studio del GSE, come indicato nel rapporto dell’attività 2020.

“Il futuro ci giudicherà soprattutto per quello che potevamo fare e non abbiamo fatto” diceva Ermanno Olmi. Attraverso il PNRR e la Transizione Ecologica siamo tutti chiamati a rispondere alle sfide cruciali di questa epoca; il cambio di paradigma verso la produzione e il consumo locale di energia richiedono una partecipazione attiva di tutti i soggetti, dalle amministrazioni piccole e grandi ai cittadini il cui ruolo è imprescindibile, tanto nel nuovo ruolo ad essi affidato, quanto nel perpetrare comportamenti virtuosi. Ricordando che il rapporto tra uomo e territorio è inscindibile e nella cura di questo mutuo legame si gioca il futuro.

06/04/2023

Quando una carta sbagliata

Giovanni - nome di fantasia - è titolare e proprietario di una piccola azienda agricola che gestisce con cura maniacale, tanto da divenire una istituzione nel proprio settore e l’azienda di famiglia oggi va a gonfie vele nonostante la situazione economica dell’Italia.

Nel giugno del 2009, con l’entrata in vigore della Direttiva CE 2009/29 e l'attuazione del Pacchetto clima-energia 20-20-20i l Governo Italiano ha emanato i Decreti Ministeriali, noti anche come Conti Energia, che hanno spinto alla realizzazione di impianti fotovoltaici di medie dimensioni, installati sulle coperture di fabbriche e aziende a servizio delle stesse grazie al meccanismo dello Scambio sul Posto (SSP) prima e della tariffa premio per l’autoconsumo poi.

Affascinato da un mercato nuovo e in accelerazione, il nostro signor Giovanni, come tanti altri imprenditori italiani, è stato solleticato dalle prospettive rosee e dalle “avances” di una delle tante aziende che gli prometteva una ottima rendita economica investendo nel settore della green economy: un investimento non eccessivamente oneroso il cui rientro sarebbe avvenuto in tempi brevissimi grazie al meccanismo delle incentivazioni e delle premialità sull’energia prodotta e consumata in loco. Il signor Giovanni ha quindi ceduto alla tentazione e ha deciso di installare un impianto fotovoltaico sul tetto della propria azienda a servizio dell’attività produttiva. Le fasi iniziali, successive alla costruzione dell’impianto, sembravano avvalorare la bontà dell’investimento, tutto filava nel verso giusto: l’impianto produceva bene, la resa era evidente, la gestione appariva semplice e si sentiva protetto dal supporto e dalle amorevoli cure della ditta che aveva costruito l’impianto e che, adesso, ne curava la manutenzione. Tutto ciò si traduceva in rendita, attraverso gli incentivi che il GSE pagava regolarmente a cui si aggiungevano i vantaggi derivanti dal risparmio in bolletta.

La grande spinta al settore delle energie rinnovabili e della green economy, tuttavia, ha iniziato a scricchiolare pochi anni dopo e la decrescita del settore fotovoltaico, nello specifico, ha visto concretizzarsi la definitiva battuta d’arresto proprio pochi anni dopo che il signor Giovanni ha realizzato il proprio impianto fotovoltaico. Con la fine del Quinto Conto Energia si sono chiusi i rubinetti dell'incentivazione statale e la valorizzazione dell’energia ceduta passava da un valore fissato per legge, al mercato libero. Di fronte a tale situazione l’intero settore del fotovoltaico è andato in crisi trascinando nel baratro tutte le realtà produttive che negli anni del boom si erano convertite al fotovoltaico. Anche la ditta che aveva costruito, e fino al quel momento aveva curato la manutenzione dell’impianto del signor Giovanni, è fallita come tante altre, lasciandolo a gestire con le proprie forze l'impianto.

 Nel frattempo, con l’emanazione del Decreto Ministeriale 31 gennaio 2014, il GSE ha iniziato la propria campagna di verifica e controllo sugli impianti fotovoltaici incentivati in conto energia, rendendo istituzionale il meccanismo delle ispezioni con sopralluogo. Le verifiche sugli impianti, già previste nei rispettivi conti energia, hanno subito un pesante aumento di numero e un severo inasprimento: l’occhio degli ispettori non si concentrava più sulla sola documentazione trasmessa al GSE (o caricata sul portale), ma ampliava il raggio d’azione e, di conseguenza, la quantità di documentazione necessaria ai fini della verifica. Da quell’anno in poi la macchina delle verifiche ha preso un avvio inarrestabile, contribuendo alla costruzione di statistiche drammatiche sulla percentuale di esiti negativi rispetto al quantitativo dei sopralluoghi e delle verifiche documentali effettuati. L’iter di verifica ha subito nel corso nel corso degli anni ulteriori complicazioni di procedimento: invece della documentazione cartacea gli ispettori hanno iniziato a richiedere un preciso elenco di documenti da caricare digitalmente sul portale GSE.

Nel 2018 anche Giovanni è stato messo sotto la lente ispettiva del GSE che gli ha comunicato, con pochissimi giorni di preavviso, che il proprio impianto sarebbe stato oggetto di una verifica documentale con sopralluogo volta a verificare che possedesse nel 2012 i requisiti per accedere agli incentivi statali e che gli stessi requisiti fossero verificati anche al momento dell'ispezione.  Sebbene la macchina delle verifiche fosse ormai in moto da tempo, la portata di un sopralluogo GSE e le potenziali conseguenze non erano ancora state colte da tutti. Anche Giovanni, che aveva sentito di alcune verifiche occorse ad impianti di altri imprenditori di propria conoscenza, aveva dato poco credito ai tanti che gli avevano proposto consulenze per verificare lo stato di salute burocratico/amministrativa dell’impianto.

Con la lettera del GSE tra le mani Giovanni ha appreso di dover trasmettere una serie di documenti specifici proprio il giorno prima che gli ispettori giungessero sull’impianto. Lui, che di professione non gestisce impianti fotovoltaici, purtroppo non aveva mai pensato di dover provvedere ad archiviare i documenti in modo strutturato ed è arrivato impreparato al momento del sopralluogo. Considerato che la ditta che aveva realizzato l’impianto ormai non esisteva più, Giovanni non sapeva come rispondere alle richieste degli ispettori. Non sapendo cosa inviare ha atteso il sopralluogo per un confronto con gli ispettori che, nel verbale, gli hanno richiesto, oltre ai documenti già indicati, ulteriore documentazione. Sentendosi perso Giovanni ha deciso di richiedere l’aiuto di un elettricista del paese che, sebbene preparato tecnicamente, non conosceva però la genesi del progetto. Colpevole la fretta e la scarsa conoscenza del settore, il tecnico, in risposta a uno dei tanti documenti richiesti, ha trasmesso erroneamente, quale evidenza del titolo con cui il Comune autorizzò la costruzione dell’impianto, copia di una Segnalazione Certificata di Inizio Attività (attinente all’impianto ma non specifica alla sua realizzazione) che recava una data successiva all’entrata in esercizio dell’impianto, anziché copia della Comunicazione Libera di Inizio Attività relativa alla costruzione dell’impianto e ovviamente antecedente la data di connessione.

Trasmessi i documenti, Giovanni ha pensato che tutto fosse concluso, credendo di essere a posto e poter riprendere la propria attività imprenditoriale. Sono passati due anni e Giovanni non ha più pensato al sopralluogo, ma proprio l’altro giorno ha ricevuto una lettera dal GSE che gli riferiva delle evidenze della verifica e con la quale gli contestava che la SCIA trasmessa era successiva all’entrata in esercizio dell’impianto, invitandolo, anzi intimandolo a replicare in merito entro 30 giorni, pena la chiusura del procedimento sulla base degli elementi raccolti, frase sibillina che sottende il rischio di decadenza dell’incentivo. Giovanni si è visto crollare il mondo addosso intravedendo la perdita degli incentivi e la contestuale restituzione di quanto, una prospettiva che le casse dell’azienda avrebbero subito come un colpo pesantissimo, se non addirittura fatale.

L’integrità di Giovanni, però, lo ha spinto a rivolgersi ad esperti di settore alla ricerca di una via di uscita per l'impianto e la sua azienda. Fatto il punto della situazione, i tecnici incaricati hanno subito portato a galla le criticità evidenziate e si sono mossi con celerità per dirimere i nodi messi in evidenza dal GSE. È apparso subito evidente che la SCIA incriminata poco avesse a che fare con la tipologia di documento richiesto, i tecnici si sono quindi mossi direttamente con il Comune richiedendo un accesso agli atti alla ricerca del documento corretto. Hanno quindi dettagliato in una relazione la genesi dell'errore e i passaggi occorsi con l'accortezza di non lasciare appigli ad una errata interpretazione che compromettesse l’incentivo e le sorti di Giovanni.

Il GSE non avrebbe concesso la possibilità di ulteriori repliche: vivere o morire, in poche righe scritte.

Il GSE ha ricevuto la replica a quanto appuntava entro i tempi richiesti. In attesa dell’epilogo, ancora in divenire, possiamo però scrivere la morale di questa storia. Investire nel fotovoltaico è stata una operazione etica e remunerativa, occorre però avere la consapevolezza che il tipo di investimento sostenuto è, prima ancora che tecnologico, burocratico e amministrativo. Si può discutere a lungo su questo punto ma resta un dato di fatto, una verità inconfutabile le cui sorti dipendono in larga parte dal GSE ma ancor più dai produttori, dalla loro corretta e oculata gestione delle carte di impianto.

Questa storia - di fantasia soltanto nel nome del protagonista ma non nei fatti - mette in evidenza quanto prevedere una verifica della documentazione di impianto prima che il GSE bussi alla porta sia più che mai avveduto.  “Vegliate, perché non sapete in quale giorno il GSE verrà a trovarvi”. Potrebbe essere la parafrasi giusta che riassume quanto occorso, più prosaicamente il monito è quello di non farsi trovare impreparati, di non avere la “presunzione” che sia tutto a posto perché così sostiene chi ha realizzato l’impianto. La materia burocratica sottesa alle verifiche GSE è complessa, articolata e ricca di sfaccettature insidiose. Affidarsi agli esperti di settore è un investimento che può salvaguardare l’investimento.

14/03/2022

Itaembe Guazu e gli highlights

12/03/2021

Itaembe conquista i media argentini

I media argentini seguono con interesse l'impianto di Itaembè e realizzano servizi giornalistici e divulgativi:

Pop up (video)

Canal 12 (video)

21/01/2021

MEG e OREL connettono il primo impianto utility scale della Provincia di Misiones

13 gennaio 2021
Posadas, provincia di Misiones, Argentina

Alla presenza del Ministro per l’Energia della Provincia di Misiones (Argentina), Paolo Quintana, ingegnere e fautore della riconversione energetica alle fonti rinnovabili, è stato connesso alla rete il primo impianto “utility scale” della Provincia, nella capitale Posadas.

L’impianto ha una potenza di 508,50 kWp ed è nato dalla partnership tra la società argentino-americana OREL (Organizacion Racional de Energias Limpias) e MEG contractor, che nel 2016 hanno avviato lo sviluppo e la procedura di autorizzazione del progetto in collaborazione con EMSA (Energia de Misiones, il gestore della rete e della produzione di energia) e IPRODHA (Instituto Provincial de Desarrollo Habitacional), con il supporto diretto del Gobierno de Misiones.

Il Gobierno de Misiones ne dà annuncio ufficiale sul proprio sito: Visita a la Planta Solar Fotovoltaica de Itaembé Guazú
e le televisioni trasmettono nei notiziari e negli approfondimenti le interviste: Canal 12

L’autorizzazione è giunta a maturazione nel 2019, l’ingegneria e le acquisizioni di forniture sono state immediatamente avviate e la costruzione è iniziata nel 2020 ma, a causa della pandemia, ha subito notevoli rallentamenti sia per i continui lockdown (comunque limitati perché l'opera è riconosciuta di interesse nazionale) sia per i ritardi nella consegna delle forniture ma è stata completata a dicembre.

Ad inizio gennaio i tecnici di MEG contractor hanno eseguito il commissioning e lo start-up dell’impianto, ai quali hanno presenziato le autorità locali e le televisioni.

In ultimo è stato eseguito un addestramento del personale dirigente ed operativo di EMSA affinché possa gestire l’impianto in completa autonomia.

OREL e MEG contractor saranno responsabili della supervisione dell’impianto per garantirne la piena operatività negli anni.

Nella foto, il Ministro per l'energia Paolo Quintana (a destra) con Andrea Pizzoli durante le operazioni di commissioning